Quando Artemisia Gentileschi,
artista barocca di inequivocabile levatura, è stata resuscitata dal pensiero
femminista negli anni settanta dalla bara di ghiaccio che ha impedito per
quattrocento anni di accostare le meraviglie della sua titanica forza
innovatrice, anche un critico raffinato e preparato come Roberto Longli non
esitò a citarla come: “l’unica donna della storia dell’arte che avesse capito
qualcosa delta pittura”... Ecco che mentre veniva riparato un mostruoso torto
storico se ne apriva un altro altrettanto mostruoso nei confronti delle “mille
donne artiste” relegate.., succintamente, ad un rango... senza cittadinanza.
Matilde Sartorari irruppe
giovanissima nel mondo della pittura del 900.
Al primo apparire delle sue
sessanta impressioni “macchiaiole” nelle sale del “Lyceum” a Firenze, nel
luglio del 1919, i critici colti alla sprovvista subito urlarono al prodigio.
Aveva solo 17 anni e con il suo “birichino”
vestito alla marinara lasciò di sasso le “ornate dame” del Lyceum mortificando
l’attesa di una romantica e magari più vezzosa “giulietta”.
Educatasi all’arte quasi da sè,
Matilde disegnava magnificamente e non per pedissequa cura del particolare ma
per uno straordinario intuito che le concedeva di rappresentare col piglio
inipressionistico grazie a preziose sintesi formali e coloristiche, e
inesauste suggestioni del mondo naturale che la circondava.
Il critico d’arte Mario Tinti, de
IL NUOVO DELLA SERA, a questo suo ingresso repentino e informale nel panorama
dell’arte itallana, reagirà un po’ scompostarnente, dedicandole una colonna
ineguagliabile per la densità delle osservazioni pregiudiziali:
“Benché sapessi che non tutte
le pittrici sono “delle signore o signorine che dipingono”, pure non tanto
spesso mi era capitato di dover ammettere alla regola del dilettantismo e della
superficialità della pittura donnesca una eccezione così distinta come dinnanzi
ai dipinti e ai disegni che la signorina Matilde Saltorari — una pittrice non
ancora diciottenne — ha esposto in una sala del Lyceum”.
Prosegue lodando cautamente le
doti di spontaneità d istintività, di percezione immediata del colore e della
forma della giovane pittrice e, paternalisticamente le aggiudica... “una buona
gustazione del colore’’, ma, ahimè. ecco la conclusione:
“
La sig.na Sartorari, che è stata
allieva di Francesco Gioli e studia ora con Cesare Ciani ha assimilato,
specialmente dal primo di questi due ottimi maestri, non solo l ‘accento del
colore, ma alcune caratteristiche formali, e li ha assimilati con tanta
aderenza da potere indurre a qualcuno il dubbio che le qualità siano più la
conseguenza di eccezionali facoltà mimetiche e imitative che l’espressione di
una individualità. È questo il dubbio che ogni discepolo deve cercare di
dissipare nella propria convinzione oltre che in quella degli altri. Ed io
vedo nei primi esperimenti di questa giovane, fuori dalla suggestione dei
maestri, qualcosa di fresco, di candido, di nativo da cui potrà uscire in
seguito — con la disciplina e la volontà — un definitivo carattere di artista. M.T.”
Il testo critico che ha salutato
l’alba di Matilde, credo debba essere commentato e “gustato”, esemplarmente,
“Lettera dopo Lettera”, per avere conferma del clima culturale che ha inibito
l’ingresso di un’artista di squisito, fluente talento pittorico, fra i “grandi”
della storia dell’arte italiana del 900.
Viene da pensare che il nodo fondamentale della puntigliosa rimozione dell’arte
e dell’artisticità feminile, che solo il
pensiero di genere poteva
sciogliere, consistesse dunque in questa lapidea incapacità del “genio
maschile” di recedere dal suo dominio più fertile e redditizio: la donna,
tutt’al più…”musa ispiratrice”.
E’ immaginabile allora come il “nostro”, trincerato nelle sue stanze messe a
soqquadro dalla rivoluzione femminista, abbia faticato a riprendersi dallo
sbalordimento di fronte ad un “oggettino” che si alza e dice:
“
Sono soggetto, penso, creo, sono musa a me stessa”.
Nadia Scardeoni