La primissima formazione dunque è “macchiaiola”, risultanza
anche determinante, ma che però si completa dopo il matrimonio avvenuto nel
1924, soprattutto nei viaggi e nei pernottamenti in Francia, dove la pittura
postimpressionista di Pissarro, Sisley e Callebotte aprì alla giovane signora
un mondo internazionale. A quel punto i viaggi, perlopiù in Inghilterra,
confermarono fasi estetiche significative, insieme ai periodi in Costa Azzurra,
e altresì nel sud della Francia apportante luci e colorazioni diverse, ancor
più la capacità di adeguamento sintomatico con gli ambienti e le località via
via frequentate e vissute pur dopo periodi dolorosi e tragici in seguito allo
scoppio della seconda guerra mondiale e l’arrivo dei tedeschi.
Il marito ammalato era ricercato essendo ebreo, ma il
coraggio della moglie riuscì a salvarlo.
Da anni felici e operosi felicemente, ad altri invece
tragici ma lo stesso operosi, Matilde Sartorari diventa pittrice matura e
straordinaria, per cui finita la guerra tornando a Verona, pur dopo la
scomparsa del marito, è pronta ad accogliere la “Scuola veneta”, soprattutto
scegliendo Semeghini e Pigato, sia sul piano umano che quello artistico. La
sua maturità è formidabile, per cui dalla Valpolicella a Veronetta (Piazza
Isolo in primis e i lungadigi), da Asolo a Venezia, da Burano a Torcello e
Chioggia, si offrono subito temi e visioni perfetti, che vengono privilegiati
al massimo da un nuovo maestro sì femminile ma con mano ferma e rapinosa. Fa
subito meraviglie l’adattamento simultaneo della Sartorari alla luce tersa
della Valpolicella, a quella più assoluta, o variabile, del lago di Garda,
passando poi alla purezza di Asolo, per trovare la ricchezza anche orientale
di Venezia e Chioggia e delle isole della Laguna, che hanno fatto buona parte
della fortuna di Semeghini e di Gino Rossi.
I risultati sono preziosi, ma anche inediti e da gustare in
pieno. Così accade coi fiori, da quelli di campo a quelli di serra, alle nature
morte composte con eleganza sorprendente. Va infatti ad esporre a Milano con
successo completo; quindi a Genova, per tornare in Veneto, dove però aldifuori
di Semeghini e Pigato sono rari coloro che la onorano come merita.
Si legga soprattutto il testo di Giuseppe Brugnoli sul
prezioso catalogo stampato nel
1974
in seguito alla maestosa (quasi) antologica di S. Pietro
in Cariano. Eppure avevano scritto Tinti e Roberto Papini; Cairola e Grazzini,
Borgese e Vergani, con entusiasmo. Anch’io arrivo tardi, negli anni ‘80, quando
la pittrice abitava in quartiere Pindemonte e dipingeva per molti mesi Avesa e
Quinzano, prima del periodo estivo dove arrivava lo spostamento a S. Ciriaco e
il bagno di luce della Valpolicella.
La pittrice con elegante modestia e signorilità accettava
visite e complimenti di certo dovuti, lavorora al suo covalletto ogni giorno
in studio e all’aperto con briosa velocità, con rara partecipazione, cogliendo
quasi sempre il cuore dei modelli, fossero cose famigliari o fiori, o paesaggi.
Verzellesi giustamente mi anticipa. Butturini misegue, come Trevisan pur legati
allo spazio ristretto della recensione giornalistica.
Matilde Sartorari ha continuato la sua professionalità
senza mai abbandonare la gara con sè stessa per raggiungere il cuore dei suoi
temi, dei suoi mirabili quadri inventivi e accostati non tanto al vero ma alle
leggi nel vero dipingere. Si guardino i fiori, le nature morte, che più dei
paesaggi conservano equilibri coloristici e formali, che altresì denotano
avventure tonali al limite della scoperta.
Il paesaggio mostra la fecondità coloristica della pittura, pennellata dopo
pennellata, con squilli tonali facoltosi e improvvisi, come la nostra grande
pittrice trovasse in quell’occasione la bellezza di sorprendersi, di vedere
solo allora quel suo risultato. Fatti nati interiormente perché il tempo degli
studi pittorici era finito in Francia, come per i veneti dopo gli anni ’50 dato
il compiacimento della solitudine, della verità arrivata solo dal lavoro della
pittura quadro dopo quadro. Ha detto bene Altichieri, sempre nella fortunata
pubblicazione già citata per Brugnoli, e dico così malgrado si rischi
l’agiografia. Il femminismo della Sartorari è talmente intenso da sfiorare la
casualità
di uno strano “menefreghismo” inconscio. La sua qualità ha
dietro di sé la scuola “macchiaiola”, ha gli anni straordinari in Francia, dove
alle immagini pittoriche si sovrapponevano quelle dal vivo, e non a caso ho
citato gli equilibrismi anche fantomatici di Callebotte, poco conosciuto in
Italia.
La pittrice sceglieva tuttociò che era a lei vicino e conseguente, ed è per
tali miracoli quotidiani e comuni, magari perfino consueti, che oggi, e di
sicuro domani, i quadri avranno ammirazione e la genialità dell’emozione. E
Matilde Sartorari dipinge fino alla fine da “Maestra” della pittura veneta.
Alessandro Mozzambani